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DOMENICO MERLI
IL MIO CANZONIERE
SITO DI TESTI E IMMAGINI
La prima questione per uno scrittore è scrivere un libro e poi trovare un editore ed è anche l’ultima il perché questi racconti sono orfani di un editore che non sia io stesso forse perché non sono abbastanza fortunati. Lì ho scritti dopo La notte e altri deliri più di vent’anni fa e devo dire che all’epoca il testo fu rifiutato da tutti gli editori. Credo a ragione non è un libro che potevo pubblicare a venticinque anni come forse nemmeno ora a più di cinquant’anni reso pubblico senza pubblicità né editore tranne ahimè me stesso. Io dopo qualche tentativo di pubblicare presso una casa editrice mi sono assopito in un lungo sonno che dura ancora di pubblicazione fai da te senza pubblicità pubblicazione sulle mie pagine web e con questo intendo il fai da te il lavoro di redazione e di commercializzazione. Quello che si trova sui miei siti si trova nei miei libri su carta ad un prezzo che non è concorrenziale ma questo dipende da un male che è una necessità. I libri costano molto ma almeno io anche li offro on-line. Potete trovare questi lavori su carta su ILMIOLIBRO.IT alla voce Domenico Merli. La mail amultimediarte@email.it non sarà a breve più attiva. Cercherò se possibile quando non so di toglierla dalle pagine dei miei siti per ora se possibile escludetela. Potete trovarmi sui Social Facebook e Twitter quelli riportati di solito alla fine dei racconti
Domenico Merli
La didascalia è l'incipit di uno dei racconti della raccolta, clicca sotto sul titolo della raccolta per continuare a leggere. Grazie e buona lettura.
Il funerale si è tristemente concluso, le ultime parole "riposa in pace" echeggiano, tra le foglie autunnali, tra i rami secchi da tagliare, e il rumore dei passi tra la ghiaia del cimitero e il riflesso della luce bianca, bianca. I visi sono atteggiati, come scafi di navi ancorati al molo, sono atteggiati, come scoscesi di roccia, sono atteggiati alla compostezza tranne Sust che ha un sorriso del tutto fuori luogo, riso cretino, che pare esprimere un peccaminoso stridore con un sorriso di muscoli contratti come un pugno alla bocca dello stomaco.
Le pareti dell'ufficio si chiudevano intorno a lui come una corazza, e lui sentiva che questa corazza gli impediva di respirare liberamente. Nei primi anni in cui era entrato come impiegato nella Cancelleria era contento di non essere più un provinciale, di non vivere la sua vita in un villaggio sulle montagne. Era arrivato nel centro della grande città, respirava l'aria di una capitale. Era riuscito a fare carriera a diventare il responsabile di reparto. Eppure da qualche tempo, tutto questo aveva perduto d'importanza, rimpiangeva le lunghe camminate nei boschi, mal sopportava il caos della metropoli. In fondo al corridoio c'era il suo ufficio, ai lati le porte degli altri impiegati. Ora, gli pareva che la sua mente vagasse, da un punto ad un altro del suo passato senza trovare un punto con il quale ancorare i suo pensieri. Gli sembrava di essere rimasto indietro, che il mondo avesse corso davanti a lui, distanziandolo, e rimasto solo, aveva paura.
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Questa farneticazione della mia mente non è follia, ma è conseguenza di un incidente. Solo che nel letto di ospedale con la forte febbre l'incubo che mi aveva colpito tornava nel mio pensiero. Il treno era in orario, cosa assai strana. Il vecchio locomotore e le carrozze trasandate arrivavano sempre agli orari più impossibili. I vecchi uffici della posta avevano sbrigato le consegne nel giro di tempo minimo, anche questa era una stranezza, il ritardo con cui arrivavano pacchi e cartoline era datato. L'ospedale, il vecchio ospedale aveva accettato tutti, e molti ricoverati venivano dimessi in salute ritrovata. Il Municipio aveva tutti gli impiegati a sbrigare le pratiche, non era più un problema aprire un negozio, accedere alle risorse per gli investimenti, pubblicare un libro. La fabbrica faceva riposare gli operai, e produceva un tanto al minuto, senza stress, anche il direttore era contento.
Sono astemio, il mio lavoro non mi consente di bere, sono un imbottigliatore. Da ragazzo ero già un imbottigliatore ma lavoravo anche alla vigna, poi non sono più tornato alla vigna dove facevo in primavera la pulizia dei filari. Stecchi, erbe, foglie morte. Tutte ore passate. Non torneranno più. Addio giovinezza.
Io ero un fotografo prima di soffrire di problemi di orientamento. Me ne accorsi da piccoli segni, ad esempio uscendo da bagno per rivestirmi dopo una doccia andavo in soggiorno e non in camera mia. Ci sono angoli di questa casa che mi sono diventati insopportabili come certe fotografie di torture. Stavo ad esempio sulla poltrona, poi giravo lo sguardo nella stanza fino all'angolo della televisione, sotto sugli scaffali bassi, c'erano vecchi elenchi telefonici, una di quelle palle che se le giri fanno cadere la neve, caramelle al miele, una foto in una cornice che avevo fatto tanto tempo fa, di una scogliera,
Era costellazioni che non conoscevo, misteriose come un cielo d'Egitto perso nel tempo. Nell'astronave fluttuavo, mi ero spinto all'interno dell'Universo. Senza trovare un luogo mi ero mosso, avevo viaggiato. Avevo visitato la regione delle grandi foreste, lo zaino sulle spalle, con la canna da pesca da montare. Avevo percorso i deserti viaggiato per gli oceani su una nave che non aveva nessuna destinazione.
Povero fratello mio,
Con questa lettera ti offro l'unico balsamo al tuo dolore. Sono molti anni che non ci vediamo né ci sentiamo. Lavoravi presso di me. Io ero il tuo capo e tu il mio unico impiegato. Come è ormai consuetudine, anche le grandi aziende non hanno che tre o quattro persone come personale. Noi eravamo cosi soli in quelle grandi stanze. E tu più solo, oberato di lavoro. Fui io a licenziarti.
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Il bagliore intenso si alzava da un punto lontano vicino al mare. Si poteva immaginare il peggio dentro le alte mura della città. La città non aveva mandato nessun messaggio, le cose andavano da sé, non c'era stato nessun messaggio alla guarnigione. Si era visto il fumo alzarsi accanto al bagliore, un fumo nero e profumato di legna e calce. Non era la prima volta. Tempo addietro c'era stato un altro bagliore e del fumo. Ma poi nulla. Tutto era tornato alla normalità, adesso Jui guardava verso la città.
Colui che eternamente è in movimento da un punto di partenza forse inesistente e un troppo lontano per essere raggiunto punto di arrivo. Un viaggiatore. Nelle perturbazioni del tempo il viaggiatore salta come un balzo di pulce d'acqua, verso l'infinito. Da quale luogo remoto venne non fu mai chiarito.Se venisse da un catastrofico futuro, o se pervenisse da remoto passato dell'universo non s poteva dire dall'esame autoptico sul cadavere
La lotta intestina tra il clan dei Madr e quello dei Ghuis era ormai sfociato in una battaglia alla luce del Sole. Quella settimana c'era stata la sparatoria al magazzino del Ghuis erano arrivati a cavallo, e da cavallo avevano aperto il fuoco contro le vetrate. Tutto era andato in pezzi al magazzino, era rimasto uno dei Madr a morire sulla strada e i Ghuis avevano quattro morti stesi sul pavimento. La settimana precedente, era stato trovato un dei Madr nel parco con la gola tagliata di netto..
La carrozza con l'inquisitore aveva varcato le porte del palazzo, uno strano palazzo, con draghi scolpiti, divinità antiche e terribili, eppure lui era, cosi aveva inteso se stesso, un baluardo contro il Male. La carrozza si fermò in un cortile, stette senza fare movimenti e attese. Il silenzio era una montagna invisibile, indistruttibile. L'inquisitore rimase nella carrozza a pensare. Era lui veramente un baluardo contro il Male, si chiese, in quel momento ne dubitava..
Il dipartimento della memoria a cui facevo buon servizio di consegnargli tutti i miei ricordi mi chiese gli ultimi che avessi nella mente. Scopo del lodevole dipartimento era di mettere ordine nella mia mente, garantirmi di non dover perdere tempo a cercare qualcosa che non trovavo nell'oblio.
La sua immagine e null'altro. Era stato sufficiente e necessario per permettere a lei di entrare in me, diventare una presenza permanente nella mia vita. Nulla più di una fotografia, si direbbe, di una sconosciuta. Impressa cosi nitidamente nella mia memoria a diventare qualcosa di concreto, tangibile.
Ora cercavo di liberarmene ora mi avvicinavo al delirio. Solo fosse stata un corpo, raggiungibile e tangibile e non un'immagine mentale.
La prima cosa che desiderai fu di uscire di casa e scendere in strada. Non so perché sentivo il bisogno di aria. Credo che avessi paura di soffocare ma mi limitai ad aprire la finestra l'aria fresca mi risvegliò era mattina. Benché lo spazio fosse piccolo e la stanza mi impediva con gli oggetti sparpagliati di fare un passo non volevo certo uccidere inavvertitamente il riccio che avevo ospitato. Era stato un desiderio repentino, vedendolo al bordo del mio ingresso del palazzo concedergli asilo e un po' di latte caldo avrei potuto portarlo nel bosco e lasciarlo libero più tardi.
Vedere passare i carri con i feriti impressionò l’animo dell’inventore Dua. I cavalli passavano lenti per la via verso l’ospedale tra lamenti sommessi ma quello che colpì Dua era l’odore di pesce che sentiva togliergli il fiato, si portò il fazzoletto al naso illusione o meno che fosse stata. In effetti quei corpi esanimi parevano pesci stesi e inerti fuori dall’acqua non più partecipi se non della vita di una quotidiana appartenenza al genere umani almeno all’appartenenza immediata che Dua e i passanti davano per scontato di essere nel ritratto del mondo ora.
L’invenzione di Dua era il motivo che lo conduceva al centro di tutte le sue speranze e sogni l’amministrazione locale che avrebbe potuto coronare la sua vita con suo successo o rendergli la vita un inferno..
Il muro della fabbrica era stato tempo addietro bianco ma ora ingrigito con grandi macchie scure era scrostato e l’intonavo era gonfiato in bolle frantumate. Leso non aveva memoria di quei tempi doveva pur essere nato ma non ricordava nulla tranne la fabbrica. Dovevano esserci state mattine di Sole in cui aveva giocato con altri bambini oppure una giornata di Sole qualunque. Era improbabile che fosse stato sempre un lavoratore dell’Associazione ma pure la memoria se non è allenata dal bisogno dimentica, senza nessun esercizio è l’oblio. L’Associazione era la fabbrica, abitudinario lavoro e tutti giorni si assomigliavano uno uguale all’altro.
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Tutti sentono la morte intorno a loro. Ne parlano sulle panchine dei parco tra i cani bighellonanti nei bar negli incubi nella rabbia, nella rabbia nel cuore soprattutto. Non si sa che nome darle, se uomo o donna, non si sa che viso darle di quale paese sia, soprattutto perché uccida. Per un attimo la morte mi chiese di baciarla, non credevo che avesse tanto fascino, solo una magia. Eppure io ne avevo una coscienza più acuta della media e non la baciai. Continuai invece a sentire che al campo sportivo, alle scuole, negli ospedali si era vista la morte e qualcuno era caduto sua vittima, forse, innocente e puro, era stato sacrificato.
Il mio cavallo pasce l’erba rada. Un fuoco arde. Non ho bisogni, sembra che la mia vita qui finisca. Non ho dolori eppure dovrei aver qualcosa che non va per morire. Tanti in effetti che ho ammazzato erano in buona salute. Vedo una mandria lontana. La notte e scesa. Dormo vestito. Ho una sensazione di essere solo un tizio che porta a spasso i piedi. Un cowboy che porta in giro gli stivali. Se mi dovessi descrivere direi che la mia vita è iniziata sul treno per la frontiere. Su quel treno dimenticai in fretta di avere avuto una madre.
Avevo ancora una buona memoria, il Sole illuminava la fiancata dell’auto mentre mi recavo al lavoro, prima di dare un comando mi ritornavano alla mente tutte le sequenze, il piede che schiaccia il freno ma non c’era nessun freno da schiacciare sulla mia auto tutto era automatico e governato dal mio semplice pensiero, telepaticamente. Parcheggiando non distante dal mio ufficio sempre ripetevo ogni sequenza che desideravo e l’auto eseguiva senza bisogno di toccare nulla solo ripetere tra me e me il ricordo dello sterzo, frizione, pulsanti da schiacciare, ma sempre ripeto avevo il mente la sequenza, guardare, capire, agire.
L’arrendevolezza del mio predecessore a cedere il potere solo ora mi appare nella sua evidenza. Eppure c’è stata una guerra. Quattromila dei nostri arcieri ha colpito il fianco del suo esercito, non si è reso contro che la sua strategia era un disastro? Le nostre macchine da guerra hanno aperto i suoi fanti frontalmente e loro sono rimasti circondato. Eppure ora tutto mi è chiaro. Lo scranno del precedente magistrato era assai singolare quando lo vidi ne fui colpito..
Questo sito è stato fatto da Domenico Merli ed è perenemente in via di ultimazione
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